PROFILO OPERE

Omaggio a B. A. Zimmermann (1918-1970)  

Opere eseguite a Milano alla Palazzina Liberty il 28 novembre 1996

“Nel momento in cui il pensiero musicale si concretizza, questo pensiero non può che essere molteplice”. A questa concezione pluristratificata della musica, Zimmermann ha fatto più volte riferimento nei propri scritti, dove a proposito del fondamento teorico-esistenziale della propria musica ricorre all’espressione “sfericità del tempo”. È stato lui stesso a indicare quali siano state le fonti filosofiche, letterarie e figurative di questo nucleo estetico generatore, in gran parte legate all’educazione culturale ricevuta, dapprima in collegi religiosi a Steinfeld e Colonia e, successivamente, attraverso intensi studi di germanistica, filosofia, psicologia, questi ultimi in parallelo con quelli prettamente musicali, in particolare con Philipp Jarnach, allievo di Ferruccio Busoni, e René Leibowitz: Kant, Bergson ma soprattutto S. Agostino, Joyce, Klee. Quanto abbiamo per forza di cose sintetizzato spiega perché il metodo compositivo di Zimmermann sia stato definito pluralistico, nel triplice senso di accoglimento, molto personale, di modalità linguistiche diverse: dal serialismo all’elettronica, dal jazz al gregoriano, dalla citazione alla parodia propria e d’altri; molteplicità dei mezzi sonori, dagli strumenti extracolti al cluster nel quale a volte si risolve il disegno dodecafonico; stratificazione temporale ottenuta, ad esempio, con l’assegnazione di tempi diversi alle voci di una composizione ed esaltata da scelte timbriche di portata strutturale. Le pagine in programma testimoniano il percorso di Zimmermann, nell’ambito del quale la musica da camera occupa un posto di rilievo. Eseguito per la prima volta a Colonia nel ‘44, il Trio si articola in tre tempi, dei quali il primo sembra fungere da introduzione agli altri: un cantabile Adagio e un Allegro molto al quale le numerose, ravvicinate e contrastanti indicazioni di andamento, il frequente ricorso allo sforzato e il ritmo sempre puntato conferiscono un carattere acceso, aspro, che la successiva trascrizione orchestrale (1948) esalterà ancora di più. Delle due composizioni pianistiche eseguite in questo concerto, Konfigurationen rappresenta il riferimento più diretto di Zimmermann a Webern, soprattutto nell’uso delle pause; nella quarta delle otto miniature, ad esempio, lunga ventinove battute e aperta da un ff “martellato”, si è voluto cogliere un’eco della weberniana op. 27 (1936). L’altro lavoro pianistico, Enchiridion, viene eseguito in versione integrale: la parte I risale al ‘49, la II al ‘52. La Sonata risale, con altre per strumento solo, all’inizio degli anni ‘50 ed è un esempio riuscitissimo di quello che s’intende per pluralismo della concezione linguistica di Zimmermann (non diciamo dello stile perché egli aborriva questo termine in quanto gli dava l’idea di “qualcosa di concluso, di ormai immodificabile”). Ad un primo tempo nientemeno che in forma-sonata segue una Fantasia in 3/4 che nella successiva trasformazione della Sonata nel Concerto per violino (1952) si arricchirà della citazione del Dies Irae, prima manifestazione del fascino esercitato dal tema della morte sul compositore, morto suicida nel 1970. Il Rondò finale ripropone una struttura classica qui suggestivamente contaminata dall’essere una delle due sezioni che si alternano con un inatteso Tempo di rumba. Completa il programma monografico Intercomunicazione, dedicata al coreografo John Cranko. Sulla scia di Tratto del 1966, unica pagina elettronica del compositore e in contrasto con il principio della sfericità del tempo, qui si assiste ad una dilatazione dello stesso. Per conseguire questo effetto i due strumenti hanno parti indipendenti tra loro anche per quanto riguarda la notazione ritmica, contraddistinta da suoni tenuti a lungo ma dinamicamente variati nel corso dell’emissione. Inizia il violoncello solo, quindi interviene il pianoforte, che a quel continuum grave oppone brevi e iterate sequenze sonore, anche accordali. Infine, dopo uno scambio delle parti, la pagina si chiude così com’era iniziata, con lo strumento ad arco alla ricerca di sonorità diverse (pizzicato, sul ponticello, sul tasto) e con il conclusivo Sol grave tenuto in pp.

 

 
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