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PROFILO OPERE |
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il Giappone fra tradizione
e avanguardia
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Teatro Litta, lunedì 26 aprile 1999,
ore 21
La storia della musica giapponese degli ultimi cento anni
è anche la storia del graduale processo di apertura
di un paese lontano e a lungo isolato nei confronti della
tradizione colta di stampo occidentale. Solo nella seconda
metà dellOttocento, durante lepoca Meiji
(1868 -1912), con la graduale apertura ai mercati americani
e occidentali, la musica europea iniziò a far sentire
la sua influenza in oriente. La prima tappa fu lintroduzione,
nel 1877, dellinsegnamento della musica occidentale
nelle scuole pubbliche; dieci anni dopo nacque lIstituto
Superiore per la Musica che nel 1897 divenne lAccademia
Musicale di Tokyo. In essa insegnarono anche due docenti di
nazionalità tedesca e austriaca. Gi?à in questo
periodo, quindi, alcuni giovani compositori giapponesi iniziarono
a scrivere le prime brevi composizioni in stile occidentale.
Il più importante tra questi, Kôsaku Yamada (1886
-1965), pioniere della musica sinfonica giapponese, formatosi
a Berlino alla scuola del tardoromanticismo tedesco di Max
Bruch (1838 -1920), rientrato in patria nel 1914, diede vita,
alla Società Sinfonica Giapponese. Progressivamente,
il numero degli istituti nei quali si insegnava la musica
crebbe considerevolmente tanto da raggiungere la dozzina alla
vigilia della Seconda Guerra Mondiale. A differenza di quella
tedesca, la musica francese iniziò a far sentire la
sua influenza soltanto dopo il 1930. In quellanno Tomojirô
Ikenouchi (1906), che tre anni prima era stato licenziato
dal Conservatorio di Parigi, rientrò in Giappone dove,
grazie alla sua opera di didatta presso lUniversità
delle Arti di Tokyo, si diffuse tra i suoi allievi lo stile
francese. Intanto alcuni compositori tra i quali Yasuiji Kiyose
(1900-1981) e Urata Watanabe tentarono una terza via che consisteva
nellimpiegare lo stile e le tecniche propri della musica
occidentale allinterno della tradizione musicale colta
giapponese. Questa tendenza, poi sviluppatasi con Hisatada
Otaka (1911-1951) e Kishio Hirao che avevano studiato rispettivamente
presso lAccademia di Vienna e la Schola Cantorum di
Parigi, si concretizzò nelle esperienze di Kiyoshige
Koryama (1914) e Akira Ifukube (1914), interessati ai temi
e ai ritmi della canzone popolare, di Osamu Shimizu (1911),
che impiegò nelle sue composizioni lo stile recitativo
del teatro Kabuki, e di Ro Ogura (1916), che sulle orme di
Bartók si interessò allo studio del folklore
contadino del suo paese. Nel decennio 1930 furono istituiti
due premi nazionali di composizione orchestrale, a opera di
Felix Weingartner (1863-1942) e di Alexandr Cerepnin (1899-1977)
che avevano soggiornato in Giappone (Cerepnin aveva addirittura
sposato in seconde nozze la pianista cinese Lee Hsien Ming
e fondato una casa di edizioni musicali per la pubblicazione
di composizioni cinesi e giapponesi).
Il premio Weingartner fu conseguito, tra gli altri, da Yoritsuné
Matsudaira (1907). Matsudaira, insofferente nei confronti
dello stile tardoromantico di matrice tedesca, così
diffuso al suo tempo in Giappone, si interessò inizialmente
alla musica di Debussy e di Poulenc e alle composizioni di
Cerepnin, che conobbe nel 1935. Più dogni altra
cosa però fu significativa linfluenza della musica
gagaku (lett.musica elegante), ossia dellantica
musica impiegata presso la corte giapponese. Si tratta di
un tipo di musica noto da almeno 1200 anni e praticato anche
adesso, importata dalla corte cinese Tang e dalla Corea
tra il IV e il VII secolo. Tale musica possiede una vasta
letteratura che èdivisa nel genere strumentale (kangen),
di danza (bugaku), delle antiche melodie giapponesi (saibara)
e dei riti scintoisti (mi-kagura). La musica gagaku, antiaccademica
per lassenza di forme precise e di un ritmo definito
e per la sovrapposizione di fasce sonore tra loro in rapporto
dissonante, caratterizzata da una naturalità espressiva
(cui corrispondono altezze continuamente mutevoli e sfumature
microtonali), divenne lo strumento di espressione ideale per
Matsudaira. Lo stile che caratterizzò il periodo che
precedette la Seconda Guerra Mondiale, stile dal quale lo
stesso Matsudaira prese in seguito le distanze, è connotato
dallimpiego melodico di materiale gagaku allinterno
di un linguaggio accordale allargato rispetto
allarmonia tradizionale. Il periodo degli anni Cinquanta
vide un crescente interesse per le tecniche seriali (anche
modali e persino pseudotonali) e per latonalità,
cui corrispose un uso ancora elementare della
gagaku. In questepoca tutti i compositori giapponesi
si sforzarono di superare le barriere che ancora li dividevano
dai loro colleghi occidentali e di ridurre il divario di conoscenze
e di esperienze. Nel 1945, Shukiki Mitsukuri (1895-1971) vincitore
del premio Weingartner nel 1939 aveva promosso la Società
Giapponese per la Nuova Musica, divenuta in seguito sezione
della Società Internazionale di Musica Contemporanea.
Così, nei successivi anni Sessanta, Matsudaira, giovandosi
anche dellesperienza dei compositori della generazione
degli anni Trenta, tutti allievi dei già citati Ikenouki,
Kiyose, Ifukube e Saburo Moroi (1903-1977), completò
lassimilazione delle tecniche dodecafoniche e si volse
ad altre esperienze quali la serialità integrale, la
scrittura per gruppi e lalea per la prima volta utilizzata
in Somaksah, del 1962. Quando il musicista compose
questo brano, le analoghe esperienze di Stockhausen e di Cage
non erano ancora note in Giappone. Nel concepire il processo
aleatorio Matsudaira si avvicinò più al tedesco
che allamericano poiché lattenzione è
rivolta alla casuale combinazione, operata dallinterprete,
di elementi già stabiliti dallautore in modo
peraltro non infedele allo spirito della gagaku
. Come accennato, la generazione degli anni Trenta gettò
le basi stesse della musica contemporanea giapponese attraverso
musicisti quali Makoto Moroï (1930) figlio e allievo
di Saburo Moroï e di Ikenouki, fra gli esponenti più
interessanti dello strutturalismo seriale, Toshirô Mayuzumi
(1929 ), formatosi alla scuola di Ifukube e di Ikenouki e
Tôru Takemitsu (1930), allievo di Kiyose, che espressero
unabile sintesi fra le esperienze della musica concreta
ed elettronica (introdotte in Giappone rispettivamente nel
1953 e nel 1955) e i modelli ormai cristallizzati della tradizione
giapponese. Moroï e Mayuzumi furono tra i primi a perfezionarsi
nei luoghi di culto della Nuova Musica: presso lo Studio für
elektronische Musik di Colonia il primo, presso i Ferienkurse
di Darmstadt il secondo.
Tra i compositori della loro generazione occorre anche ricordare
Kazuo Fukushima (1930), autodidatta e interessato principalmente
alla musica gagaku e nô. In esse il flauto (chiamato
rispettivamente ryôteki e nô kan, entrambi di
canna con sette fori praticati nel corpo dello strumento)
gioca un ruolo importante; analogamente, nella musica di Fukushima
il flauto ha una funzione di primo piano poiché il
compositore ha avuto occasione di lavorare a stretto contatto
con flautisti come Hayashi e Severino Gazzelloni. Una delle
composizioni più note ed eseguite è Mei
per flauto solo (1962) nel quale Fukushima esplora le possibilit?
timbriche e ritmiche caratteristiche della musica tradizionale
giapponese come il ritmo libero utilizzato nel canto religioso
buddista (shômyô) e nel nô, e i glissando
e i soffiati che sono propri delle tecniche esecutive del
shakuhachi, una varietà di flauto dritto molto diffuso
nella tradizione giapponese. La sua arte è spesso meditativa
e frequenti sono i riferimenti alla filosofia buddista ravvisabili
nei titoli di alcune sue importanti composizioni come Kadha
Karuna (Poema della compassione) del 1962.
Nel 1955 fu aperto lo studio di musica elettronica della NHK,
la radio giapponese di Tokyo; presso questa importante istituzione
furono attivi musicisti come Yoshirô Irino (1921-1980),
Yoraki Matsudaira (1931), figlio di Yoritsuné e Akira
Miyoshi (1933), allievo, tra gli altri, del già
citato Tomoijiro Ikenouchi, e perfezionatosi a Parigi con
Raymond Gallois-Montbrun (1918). La musica di Miyoshi mostra
un linguaggio abilmente mediato tra esigenze di novità
e senso della tradizione. In Envers, eseguito
per la prima volta nel 1980, a una forma decisamente tradizionale
(manca la dialettica dei temi ma limpianto è
grosso modo quello della forma-sonata) fa riscontro una scrittura
che rinuncia volutamente agli sperimentalismi grafici tipici
di molta letteratura contemporanea. Lo stile è liberamente
atonale e ad esso fa riscontro un impiego di sonorità
dolci e di armonie raffinate ed espressive. Il linguaggio
di Miyoshi è un buon esempio della concezione che sembra
dominare in molta musica contemporanea giapponese e che rappresenta
lelemento di discontinuità più evidente
tra questa e la tradizione occidentale: una concezione per
la quale, come scrive anche Jo Kondo, uno studioso dellUniversità
delle Arti di Tokyo, a proposito della musica di Takemitsu,
il suono ha un significato di per sé stesso e non in
un contesto compositivo organizzato e compiuto come nella
musica occidentale. I compositori delle generazioni più
recenti hanno ormai recuperato definitivamente il loro ritardo
rispetto ai colleghi occidentali, molti dei quali, peraltro,
si sono allontanati non poco dai tradizionali sentieri della
Nuova Musica. Così, accanto alla Quarta Sonata
di Satoshi Minami (1955), un lavoro eseguito per la
prima volta nel 1998, che utilizza un linguaggio sostanzialmente
atonale, a volte aspramente dissonante qua e là disseminato
da suggestioni tonali, e formalmente aleatorio, trovano posto
i Sechs Stimmungsbilder per flauto solo della
compositrice naturalizzata tedesca Toyoko Yamashita
(1942), caratterizzati da un linguaggio nel quale il minimalismo
è rivissuto attraverso il filtro della cultura giapponese,
incentrato sul suono e sulle continue trasformazioni di brevi
incisi ritmico-melodici. Si tratta, come dice il titolo, di
sei Immagini di stati danimo che danno modo
alla compositrice di creare sei quadri di vario carattere
che mettono in luce e valorizzano le peculiarità tecniche
ed espressive dello strumento. Le vie della musica contemporanea
giapponese sono ormai sempre più comuni alle esperienze
della cultura occidentale. Il solo carattere peculiare sembra
essere ormai il riferimento più o meno velato al pensiero
filosofico di tradizione buddista che implica un concetto
del suono e dello spazio diverso dal nostro. Come scrive Jo
Kondo, mentre nella musica occidentale un suono assume senso
e valore in relazione al contesto nel quale è collocato,
la cultura giapponese concepisce la composizione come un insieme
che: è sempre il risultato di unaddizione
di suoni singoli, aventi ciascuno un proprio specifico significato.
Analogamente, il concetto di spazio nella musica contemporanea
giapponese si ricollega a quello del tempio shintoista (diviso
in ambienti che suscitano impressioni volta per volta molto
diverse, separati da sottili pareti che non smentiscono mai
lappartenenza del singolo al tutto), ed è quindi
un macrocosmo [che] può contenere uninfinità
di microcosmi ciascuno diverso ed indipendente. In questo
modo, non solo il Giappone ha pareggiato il conto, ma sembra
indirizzato per un cammino lungo il quale il pensiero occidentale
rischia di smarrirsi e che potrà portare a sviluppi
di cui sarà interessante valutare tra qualche anno
i risultati. (Antonio Polignano)
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