PROFILO OPERE

L’Austria del presente

 

opere eseguite al Centre Culturel Français a Milano il 21 novembre 1999

Vienna, la capitale dell’Impero, la magnifica culla della cultura mitteleuropea, ha vissuto a lungo una singolare contraddizione: ha sempre creato le premesse perché sorgessero nuovi talenti ma non ha poi saputo comprenderli e valorizzarli. Solo a Vienna Mozart avrebbe potuto trovare gli stimoli e un ambiente di lavoro artistico e professionale utili al proprio operare, ma a Vienna, finché visse, egli fu comunque in disparte ed essenzialmente incompreso. Schubert (a proposito, della Sonata D. 821 si parlerà in fine di programma) letteralmente languì e anche più tardi non ebbero vita facile Wolf e Mahler. Quest’ultimo, addirittura si dimise dalla direzione dei Wiener Philarmoniker e, in un secondo momento, dalla Hofoper, e tutto questo naturalmente per incomprensioni e difficoltà sorte nell’esercizio della sua professione. E che dire di Schönberg, Berg e Webern, che a Vienna non ebbero mai un incarico ufficiale (Schönberg vi insegnò solo privatamente)? Dopo la caduta di Franz Joseph le cose andarono molto peggio con il nazismo e la guerra; ma questo naturalmente non solo nell’ex capitale dell’impero. Si può dire che solo dal dopoguerra Vienna abbia ripreso veramente la propria vitalità culturale senza tuttavia risalire più agli splendori di un tempo. A Vienna esiste una Hochschule für Musik und Darstellende Kunst (Accademia di Musica ed Arte Drammatica) che è un’autentica fucina di talenti. Qui insegnava direzione il celebre Hans Swarowsky e qui sono confluiti gli orientamenti compositivi più disparati, dalla tradizione tardo romantica di Bruckner, Wolf e Mahler, di cui Karl Schiske è stato forse il più insigne esponente, alla scuola di tradizione dodecafonica schönberghiana rappresentata da Hanns Jelinek. È curioso che Erich Urbanner (Innsbruck, 26 marzo 1936), di cui questa sera ascolteremo Entfaltung per violoncello e pianoforte, abbia studiato con entrambi i maestri sopra citati (ovviamente alla Hochschule), attingendo a una cultura vasta e di primo livello. Gli studi di pianoforte con Grete Hinterhofer (pianoforte), e di direzione d’orchestra con il citato Swarowsky completano la formazione di quello che è considerato uno dei più rappresentativi maestri della musica austriaca degli ultimi quarant’anni. Dopo un iniziale interesse per la musica di Stravinskij, Bartók e Hindemith, Urbanner approdò all’atonalit? libera, raccogliendo i primi consensi, e successivamente anche alla tecnica dodecafonica. In seguito tuttavia, avvertendo una certa limitazione e il pericolo di cadere in una mera routine artigianale, Urbanner abbandonò la serialità per volgersi a uno stile più libero, nel quale potesse meglio affiorare la propria individualità e nel quale melodia, forma e suono dipendessero interamente dalla sua libera volontà. Dal punto di vista formale, invece, l’approccio sembra più tradizionale come dimostrano alcuni Concerti (2 per pf., 1 per vl., 1 per ctb., un Doppio Concerto per fl. e cl, un Concerto per 2 orchestre, trb. e vcl. dal titolo “W. A. Mozart”), musica da camera (3 Quartetti per archi) e due Sonatine per pianoforte, tutti scritti in un arco di tempo molto ampio (1958-1984), durante il quale gli indirizzi compositivi subirono le trasformazioni di cui si è detto. Entfaltung per violoncello e pianoforte è stata scritta nel 1999 su commissione di Florian Kitt ed è dedicata al duo Kitt-Medjimorec. Gerd Kühr appartiene alla generazione successiva (Maria Luggau, Carinzia, 1952) ed è uno dei più noti compositori austriaci contemporanei. Formatosi a Salisburgo, presso il Mozarteum ha pure frequentato i corsi di composizione di Hans Werner Henze. Caratteristica peculiare delle sue composizioni, siano esse cameristiche o sinfoniche, è una drammaticità assai interiorizzata, che non assume atteggiamenti enfatici e che si traduce in una scrittura spesso essenziale, anche se corredata da un minuzioso apparato di segni dinamici e agogici. I Portraits sono otto brani, otto ritratti, appunto, ispirati ad altrettanti ritratti letterari e di carattere surreale contenuti nel romanzo Der Ohrenzeuge (Il testimone auricolare) di Elias Canetti. Kühr ritiene che, nel corso del lavoro, i brani abbiano finito per acquistare una certa indipendenza rispetto al modello letterario. Lo stile è caratterizzato principalmente da sviluppi e slanci subito interrotti, nonché dalla fugacità del gesto compositivo. Per queste loro caratteristiche sono stati definiti dallo stesso compositore “disegni musicali a penna”. Kurt Estermann, classe 1960, è il più giovane tra i tre compositori austriaci del concerto di questa sera. Organista nel monastero di Wilten/Innsbruck in Tirolo e professore di composizione ospite al Mozarteum, ha conseguito anche numerosi riconoscimenti in concorsi internazionali. Estermann considera elementi determinanti per il processo creativo la coerenza e la logica. Questo atteggiamento è ravvisabile anche nel primo tempo di Cello & Klavier, dalla concezione a suo modo monumentale e priva di interruzioni. La scrittura, in genere fitta ed elaborata, elude il tradizionale rapporto solista-accompagnatore, tipico di molta letteratura per violoncello e pianoforte, in favore di un ruolo paritetico tra i due strumenti che cala in una dimensione sonora più sinfonica che cameristica. Gli altri tre tempi sono meno sviluppati e sono in genere caratterizzati da una scrittura meno stratificata e complessa. Il secondo tempo, Capriccio, è un brano leggero e allegro che sembra ammiccare alla musica popolare tirolese. Nell’adagio, Cantus, dalla scrittura pianistica statuaria e accordale, il violoncello esegue una linea melodica ed espressiva che, sorretta da un accompagnamento uniforme e accordale del pianoforte, evoca il suono lontano di campane. Il quarto e ultimo movimento è caratterizzato da una ritmica spiccata e da una scrittura rapida e più fitta che si avvicina maggiormente allo spirito del primo tempo. Franz Schubert: Sonata per piano e arpeggione in la minore D.821 (1824) Nel 1823 il liutaio viennese Johann Georg Staufer costruì uno strumento cordofono delle dimensioni di un violoncello ma munito di sei corde accordate come quelle della chitarra, che venivano strofinate da un archetto, e il manico tastato (ossia non liscio, come negli archi, ma provvisto di sbarrette come nella chitarra o nella viola da gamba). Tale strumento, peraltro destinato a scomparire di lì a qualche anno, è appunto quell’arpeggione (ma il termine più consono sarebbe Chitarra d’amore) che avrà forse suscitato la curiosità di qualche spettatore e che certamente dovette destare l’interesse di Schubert se, sollecitato dallo stesso Staufer e dal violoncellista Vincenz Schuster, decise di comporre la Sonata in la minore D. 821. Si tratta di una classica sonata in tre movimenti. Di essa Alfred Einstein ha scritto: “L’insieme è gradevole e melodioso: c’è un primo movimento piacevolmente malinconico, un Adagio di transizione in Mi maggiore e un Finale che sta a metà tra il Rondò e il Divertissement”. Tutto ciò senza tacere il carattere “leggero” e di puro intrattenimento del lavoro, che egli classifica senz’altro tra i minori del grande viennese. Inutile dire che, scomparso lo strumento, la sonata è sempre stata eseguita sul violoncello, il parente più prossimo, dopo la viola da gamba, dell’arpeggione. (Antonio Polignano)


 

 
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