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PROFILO OPERE |
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Hans Werner Henze: El Cimarrón, recital per quattro
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Prima esecuzione: Aldeburgh, Festival, 22 giugno 1970
"Vorrei ottenere che la musica diventi linguaggio, che
cessi di esistere questo spazio sonoro in cui il sentimento
si può rispecchiare in modo incontrollato e 'vuoto';
la musica dovrebbe essere intesa come linguaggio". È
a queste parole che Hans Werner Henze (1926)
- il massimo compositore tedesco vivente della generazione
degli anni '20, quella di Berio, Boulez, Maderna
per intenderci- affida il senso di tutta la sua lunga ricerca
artistica in ambito teatrale, nella quale rientrano sia lavori
dall'impianto squisitamente drammaturgico (Boulevard
solitude, 1951; Die Bassariden,
1965; Das verratene Meer, 1981), sia altri
più decisamente "trasversali": da Apollo
et Hyacinthus, definita in partitura "improvvisazioni
per cembalo, contralto e otto strumenti solisti", a El
Cimarrón, sino al più recente El
Rey de Harlem, per voce e piccolo ensemble (1983).
Ivanka Stoianova, una delle più accreditate
studiose della musica di Henze, più che di trasversalità
parla di "impurità" del suo linguaggio, come
risultato di una "interazione di molti elementi significanti
e di sistemi semiotici". È noto come tutte le
volte che la semiologia si è occupata di musica l'abbia
fatto nel nome di una contrapposizione netta, inconciliabile,
tra lingua e linguaggio discorsivo da una parte e musica e
linguaggio musicale dall'altra. In un saggio del 1981 (Ist
Musik eine Sprache?) così Paul Falti
sintetizza la dicotomia: "La lingua conduce alla descrizione..
la musica all'ascolto e vuole piacere. La lingua è
un prodotto dello spirito pensante, la musica dello spirito
creativo". E ancora: "Il linguaggio discorsivo comunica
concetti, il linguaggio musicale comunica idee, pensieri,
figurazioni musicali..". In poche parole: "I significati
delle parole sono concettuali, quelli dei segni musicali sono
intenzionali".
El Cimarrón rappresenta il massimo
e più riuscito sforzo di Henze di
infrangere la barriera tra i due mondi attraverso tutta a
una serie di invenzioni ed artifici dalla cui commistione
emerge un terzo livello di comunicazione, affascinante e coinvolgente,
a patto che l'ascoltatore indossi anche i panni dello spettatore.
E viceversa. La partitura è portatrice di una musica
da ascoltare e da vedere nello stesso tempo, in una sovrapposizione
e compenetrazione incessante di linguaggi verbali, sonori
e gestuali definiti dal compositore "riverberazioni mnemoniche"
del testo, pur conservando ciascuno la propria specificità
estetica. A conferma dell'interrelazione tra narrazione testuale
e narrazione musicale la partitura è articolata in
due parti, per un totale di quindici episodi così disposti:
Prima parte: I. Il mondo, II. Il cimarrón,
III. La schiavitù, IV. La fuga, V. Il bosco, VI. Gli
spiriti, VII. La falsa libertà.
Seconda parte: VIII. Le donne, IX. Le fabbriche,
X. Il pastore, XI. La ribellione, XII La battaglia di Mal
Tiempo, XIII. La brutta vittoria, XIV. La cordialità,
XV. Il coltello.
Alla luce di queste rapide considerazioni El Cimarrón
può definirsi un racconto musico-teatrale, ispirato
all'autobiografia dello schiavo, evaso, Esteban Montejo,
detto El Cimarrón, che è anche
il titolo di un racconto dello scrittore cubano Miguel
Barnet (1966), da Henze letto nella
versione tedesca di Hans Magnus Enzensberger.
La sua idea originaria era di farne un Singspiel
politico sulla scia di quelli di Hans Eisler
e Kurt Weill; ma un'attenta lettura del racconto
l'ha successivamente convinto a conferire alla composizione
la stessa struttura e polivalenza semantica dell'originale
narrativo. Quest'ultimo, infatti, ha la forma del monologo,
nel corso del quale il protagonista racconta la propria storia:
la sua vita di schiavo, l'evasione, la vita da fuggiasco in
montagna, la lotta per la libertà, per l'abolizione
della schiavitù e per la liberazione di Cuba dal colonialismo
spagnolo.
Nel recital Henze sovrappone il senso dell'autobiografia
e quello della narrazione; la prima conseguenza dal punto
di vista della resa teatrale è rappresentata dalla
necessità di ampliare al massimo la gamma delle emissioni
vocali da parte del baritono - suoni cantati, parlati-cantati,
improvvisazioni, falsetto, vibrati vocali, articolazioni ora
rapide ora lente delle parole - a loro volta combinate con
una gestualità spinta.
Anche gli strumentisti contribuiscono alla resa visiva del
testo, in sintonia o in voluto contrasto con quella del protagonista-narratore
e la combinazione tra piano vocale e piano strumentale mira
sempre alla piena intellegibilità del messaggio contenuto
nelle parole; hanno origine così veri e propri madrigalismi,
artifici compositivi dei madrigalisti del XVI secolo per conferire
ad un parola particolarmente significativa una soluzione musicale
che ne "descrivesse" il contenuto semantico (per
esempio, una figura discendente o ascendente in riferimento,
rispettivamente, all'inferno o al cielo).
Eccone qualche testimonianza desunta dalla partitura del Cimarrón:
la linea vocale in falsetto alle parole "ho spesso guardato
il cielo" (I); i passaggi strumentali precipitati subito
dopo "Io volevo fuggire" (IV) e in riferimento "spesso
non riuscivo ad addormentarmi perché pensavo alla fuga"
(IV); l'andamento agitato del flauto in corrispondenza di
"a me veniva una gran paura" (VIII).
Anche la gestualità degli strumentisti è finalizzata
a rafforzare l'intrecciarsi dei diversi piani di comunicazione
perseguito da Henze. L'episodio IX vuole
raffigurare il lavoro nelle fabbriche, per la cui definizione,
confessa il compositore, "avevo pensato alla scena dei
bulloni in Tempi moderni di Charlie Chaplin.
La strumentazione della parte percussiva è infatti
realizzata in modo tale che il corpo dell'uomo sembra trasformarsi
in una regolare macchina ed il discorso dell'interprete vocale
è costantemente interrotto da un movimento meccanico
delle braccia, con il quale deve sfregare un guiro (idiofono
a raschiamento), in modo da dare l'impressione che la sua
testa ed il corpo appartengano a due sistemi differenti".
Un'ultima annotazione, per altro significativa, concerne il
ricorso all'improvvisazione strumentale-vocale nei momenti
narrativi assimilati al tema della libertà (episodio
VI) o della lotta che si scatena per conquistarla o reprimerla
(episodi XI e XII). L'improvvisazione, ovvero la liberazione
dal testo scritto, rappresenta dunque per Henze il riversamento
in musica della liberazione dalla schiavitù, il che
conferma la veste mutevole, poliedrica, di una partitura tra
le più impure e dunque tra le più complete del
XX secolo.
Ettore Napoli
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