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PROFILO OPERE |
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Spazio Oberdan, martedì 15 maggio 2001,
ore 21
Le origini della letteratura per pianoforte a quattro mani
risalgono ai primi dell¹Ottocento come forma colta d¹intrattenimento
(Schubert), alla quale si affianca in seguito un uso didattico
mediante la trascrizione di pagine sinfoniche, od orchestrali
in genere. Verso la fine del XIX secolo il genere trova una
sua precisa connotazione artistica, come dimostrano i bellissimi
lavori di Brahms - citiamo, tra tutti, le Variazioni su un
tema di Schumann op. 23 - e negli anni di passaggio Ottocento-Novecento
le trascrizioni di Debussy da Wagner (ouverture del Fliegende
Holländer) o di Ravel dallo stesso Debussy (Prélude
à l¹après-midi d¹un faune). I brani
in programmi, ad eccezione degli Stücke di Schönberg
e delle Épigraphes di Debussy, sembrano rientrare tutti
nella prima categoria, con una propensione, per quanto riguarda
il carattere, verso il ricordo da parte di Barber e verso
l¹ironia con Casagrande e Stravinskij.
I Sechs Stücke di Schönberg appartengono
al periodo degli studi di composizione con Alexander von Zemlinsky
e sono quasi contemporanei con la prima opera di un certo
rilievo quale il Quartetto in Re minore (1896-1897) di chiara
impronta brahmsiana, che si affaccia anche in queste pagine:
attenzione alla conduzione delle parti, sonorità ora
piene ora rarefatte ma timbricamente sempre definite, allusioni
più o meno marcate al contrappunto. Quasi nulla, dunque,
fa prefigurare lo Schönberg sperimentale dei Klavierstücke
op. 11 per pianoforte solo di una decina di anni dopo - impropriamente
detto ³atonale²- a parte il gusto qui già
espresso per le forme brevi, aforistiche.
I Tre piccoli pezzi di Aldo Clementi recano
il sottotitolo di Omaggio a Bartók uno dei compositori
da sempre amati dal musicista siciliano. La presenza di Bartók
è più nelle intenzioni sentimentali che nella
scrittura pianistica, contraddistinta in quella fase dell¹attività
di Clementi, siamo nel 1950, da un interesse verso il neoclassicismo
che ben presto verrà superato dall¹acquisizione
della serialità come conseguenza della frequentazione
dei corsi di Darmstadt, iniziata nel 1955.
L'ironia, come si è detto, è forse la chiave
di lettura più idonea per i Tre Astri (1980) di Casagrande,
protagonista eclettico della vita musicale italiana dal secondo
dopoguerra in avanti: eccellente accompagnatore di cantanti
e solisti strumentali, compositore, saggista, autore ed arrangiatore
di colonne sonore televisive e cinematografiche, Casagrande
ha dedicato a se stesso ed al duo Carmassi-Fricelli (i tre
astri del titolo) questi gustosi brani, accattivanti nello
spirito e pianisticamente ben scritti.
I Tre pezzi (1966) di Franco Margola recano
l¹indicazione di Piccola suite e la dedica al duo Guya
Soggiomo e Giuseppe Fricelli; come nell¹antica forma
barocca, i tre brani - nell¹ordine, Preludio, Canzone,
Danza - rimandano a ritmi di danze, che nel caso del terzo
hanno un andamento ed un carattere quasi da marionetta (Stravinskij?).
Evocati, o quasi, da Casagrande e da Margola ecco i Cinque
pezzi facili (1917) di Igor Stravinskij, che seguono
di pochi mesi altri Tre pezzi facili; le due serie sono nate
entrambe durante il soggiorno in Svizzera del compositore
russo, al riparo dagli eventi bellici contemporanei. A parte
il primo, che funge quasi da introduzione, i pezzi hanno titoli
descrittivi: 1. Andante - 2. Española - 3. Balalaïka
- 4. Napolitana - 5. Galop. Se il secondo ed il quarto sono
la veste musicale di ricordi di viaggi in Spagna ed in Italia,
il terzo era il preferito da Stravinskij per i suoi echi popolari
russi.
Anche i Souvenirs op. 28 dell'americano
Samuel Barber hanno il profumo del ricordo, in questo
caso di se stesso, trattandosi di una trasposizione di alcuni
numeri delle musiche composte nel 1952 per un balletto del
coreografo russo, naturalizzato statunitense, George Balanchine
che fu direttore artistico dal 1948 del leggendario New York
City Ballet. I Souvenirs sono sette: 1. Walz - 2. Schottische
- 3. Pas de deux - 4. Two-Step - 5. Hesitation - 6. Tango
- 7. Galop.
Chiudono il concerto le Six épigraphes antiques
(1914) di Debussy che, precedute dalla Petite suite
(1889) e dalla Marche écoissaise (1891), entrambe a
quattro mani, si collocano ai vertici di questo genere pianistico.
I sei piccoli brani - i due più lunghi sono di una
sessantina di battute ciascuno - formano un ciclo unitario:
per la disposizione delle tonalità (in almeno un paio
di casi è più corretto parlare di modalità
antiche), per il ritorno nell¹ultimo del motivo d'apertura
del primo, per la scrittura, sempre raffinatissima, evocatrice
di lontane sonorità (flauto, arpa, crotali ecc.). L¹ordine
è il seguente: 1. Pour invoquer Pan, Dieu du vent -
2. Pour un tombeau sans nom - 3. Pour que la nuit soit propice
- 4. Pour la danseuse aux crotales - 5. Pour l'Égyptienne
- 6. Pour remercier la pluie au matin.
Ettore Napoli
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