PROFILO OPERE

L’oboe nel Novecento francese
 


Nel suo Grand traité d’instrumentation et d’orchestration modernes (1843), Hector Berlioz scriveva che: “Agli accenti dell’oboe convengono a meraviglia il candore, la grazia innocente, la gioia tranquilla, oppure il dolore di un essere debole” e si affrettava poi a precisare: “Gli può convenire anche un certo grado di agitazione, ma conviene guardarsi dallo spingerla fino ai gridi della passione, fino al sùbito slancio dell’ira, della minaccia o dell’erotismo, perché allora la sua piccola voce agrodolce diventa impotente e assolutamente grottesca”. Un tale giudizio dovette essere largamente condiviso nell’Ottocento che all’oboe riservò sempre un ruolo di primo piano ma in orchestra, reputando altri strumenti, il pianoforte e il violino soprattutto, più capaci di interpretare la forte espressività richiesta dalla musica solistica e da camera del tempo. In orchestra, musicisti come Schubert (secondo tempo dell’Incompiuta) o Brahms (terzo movimento della Seconda Sinfonia) non sembrano in effetti considerare questo strumento con un occhio diverso da quello del loro collega francese. Lo stesso può essere detto per gli operisti, da Wagner a Verdi, in molte opere dei quali l’oboe è spesso legato alla caratterizzazione di personaggi femminili o deboli. Naturalmente il nostro secolo ha richiesto a questo, come a tutti gli altri strumenti, di esprimere al massimo le proprie possibilità, sia dal punto di vista tecnico, sia da quello espressivo. Va da sé che ai “gridi della passione” paventati da Berlioz l’oboe sia successivamente approdato, ma magari proprio per ricercare quel risultato grottesco che il musicista francese aveva invece considerato con preoccupazione. C’è chi ha visto nell’oboe uno strumento più ostinato di altri ad adattarsi alle mutate esigenze del Novecento musicale, quasi lo strumento fosse dotato della prodigiosa capacità di decidere del proprio destino. In realtà molti compositori hanno compreso che lo strumento non poteva più di tanto essere snaturato e ne hanno perciò assecondato le potenzialità che in effetti si armonizzano a meraviglia con il naturalismo di tanta musica impressionista e simbolista, da Debussy, a Ravel, ai Sei. Così se l’oboe, diversamente dal clarinetto e persino dal flauto, è stato scarsamente preso in considerazione dalla musica jazz, la musica da camera dei principali compositori “colti” del primo Novecento lo ha accolto con un favore non inferiore a quello che lo strumento aveva conosciuto nell’altra sua età dell’oro, il Settecento (e a proposito del legame elettivo tra queste due epoche si pensi al Concerto per oboe e piccola orchestra di Richard Strauss, commosso, estremo omaggio al secolo dei Lumi e a Mozart in particolare). Va da sé che la maggior parte di questi brani appartengono a questa illustre letteratura che si è mantenuta nell’ambito di un linguaggio orientato tonalmente, di una scrittura che asseconda le naturali possibilità dello strumento (emissione di note lunghe o di frasi lunghe e legate, di lunghi trilli, di passaggi rapidi e leggeri in staccato), di un rapporto paritetico e tradizionale tra oboe e pianoforte e di un assetto formale che almeno a parole si rifà alle strutture compositive del passato, dal rondò, alla sonata, alla sonatina. Diverso è il discorso per quanto riguarda l’oboe e gli autori contemporanei. I compositori legati alla cosiddetta Avanguardia, nel periodo del Secondo Dopoguerra, hanno evidentemente avvertito la natura in sé problematica dello strumento, il suo forte legame con il passato e la sua refrattarietà alle ricerche nel campo del timbro, maggiormente praticabili in altri strumenti a fiato (il flauto per esempio o il clarinetto). Si direbbe che la natura delicata ed espressivamente contenuta dell’oboe abbia portato i compositori a impiegarlo secondo atteggiamenti “tradizionali” o a non adoperarlo affatto. Non è un caso che l’autore contemporaneo che più di tutti si è rivolto all’oboe sia stato Bruno Maderna, autore che più d’altri ha saputo percorrere i sentieri più tortuosi dello sperimentalismo pur sempre assecondando e addirittura valorizzando le proprietà coloristiche ed espressive degli strumenti (al contrario di quanto ha fatto per esempio Luigi Nono che ha spinto la sua ricerca timbrica giungendo quasi ad annullare le peculiarità dei diversi strumenti a fiato). Così se Maderna ci ha lasciato un catalogo ricchissimo, comprendente composizioni cameristiche e per organici pi? ampi, non troviamo nulla di Nono, di Stockhausen, di Boulez o di Cage (sempre che si considerino le composizioni nelle quali l’oboe abbia una parte di spicco) ma due importanti composizioni di Luciano Berio (Sequenza VII (1969) e Chemins IV su Sequenza VII per ob. e 11 archi (1975) e un brano di Franco Donatoni per oboe e corno inglese, Espressivo (1974) che non a caso sembra confermare l’ambito esclusivo tacitamente riservato a questo strumento. Gli autori delle generazioni a noi più vicine, in un’epoca di molteplici e differenti esperienze, votate agli indirizzi compositivi più disparati, non hanno invece esitato a utilizzarlo addirittura da solo, arricchendo la ricerca timbrico-espressiva attraverso le più recenti acquisizioni della tecnica esecutiva. Tuttavia, questa interessante produzione resta pur sempre esigua se confrontata a quella di altri strumenti, archi, flauto e clarinetto soprattutto. In compenso lo strumento sembra avere soddisfatto le aspettative delle tendenze compositive più disparate. Imarginalia n. 1 (1996), per oboe solo, di Daniel Augusto D’Adamo, un giovane compositore francese, viene eseguito questa sera in prima esecuzione a Milano. Si tratta di un brano che mette l’esecutore di fronte a una scrittura impervia, meticolosamente arricchita di indicazioni agogiche e dinamiche, spesso con motivazioni di natura espressiva [très regulier (laissez sortir les harmoniques); o rapide, strident (hystérique)]. È un brano teso a saggiare le possibilità dello strumento accostando alle peculiarità tecniche pi? sopra ricordate nuove e più stimolanti opportunità offerte dalle più recenti “scoperte” nell’ambito della scrittura contemporanea. (Antonio Polignano)


 

 
- Novurgìa - arte e musica colta contemporanea -
Via Domenichino, 12 - 20149 - Milano   tel.  mobile: (0039) 345 0505525   email info@novurgìa.it