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PROFILO OPERE |
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Vladimir Zubitsky (1953) è un compositore
ucraino di straordinaria versatilità e apertura mentale,
e ad ambedue queste qualità ha certo contribuito la
dimestichezza che già a sei anni lo legava allo strumento,
polimorfo e duttile come pochi e destinato a insospettate
avventure. A queste avventure il 'bayan russo'
(il modello specifico di fisarmonica che suona il Trio
Solotarev) è stato indotto da Zubitsky
al di là di ogni immaginazione. Ne sono un esempio
le due composizioni che aprono e rispettivamente chiudono
questo programma.
La prima, Suite dei Carpazi (2000), tratta
con straordinario virtuosismo compositivo-strumentale melodie
e schemi ritmici popolari, modulandoli occasionalmente con
comportamenti di tipo improvvisativo. Il pensiero va a Béla
Bartòk - che non a caso è tra i compositori
che Zubitsky dichiara di preferire - ma non
ritroviamo qui la severa consequenzialità strutturale
del grande ungherese. I tempi del rigore linguistico che ha
accumunato due musicisti diversi, antitetici quasi, come Bartòk
e Webern, non sono più che un ricordo.
Il secondo brano di Zubitsky che qui si offre
all'ascolto è una 'Sonata' intitolata
Fatum (2000). Effettivamente c'è fin
dall'inizio una sorta di inesorabilità nell'incedere
misurato dei bassi, di quasi wagneriana memoria, su cui interviene
una pungente melodia, riccamente variata, ma senza concessioni
edonistiche. Richiami naturalistici - c'è anche il
verso del cuculo - non valgono ad ammorbidire la severità
dell'insieme. Solo da ultimo questa severità cede alla
liturgia di un Padre Nostro ortodosso recitato sullo sfondo
di un corale. Tra questi due momenti il demoniaco Presto centrale
della Sonata, incalzato dalle tradizionali irregolarità
ritmico-metriche caratteristiche degli idiomi locali dell'est-europeo.
Finlandese di nascita (1948), pianista, clavicembalista, direttore
d'orchestra, Jukka Tiensuu vede nella musica
una componente essenziale di una cosmologia universale. Egli
si raccorda così al pensiero dell'antichità
classica, per certi versi però anche medievale e barocca
(quando per esempio interpreta Rameau sul
clavicembalo); né gli è estranea la tradizione
nazionale. Il computer e le esperienze elettroacustiche gli
sono familiari come anche lo sperimentalismo degli anni darmastadtiani.
Si può dire quindi che Tiensuu rappresenta
compiutamente la condizione di pluralismo culturale determinatosi
con l'esaurimento della spinta propulsiva delle avanguardie,
condizione cui è stato dato l'appellattivo poco felice
di 'post moderno'. Al di là delle
etichette e dei riferimenti storici al passato e al presente,
questa forte personalità di musicista sembra sfatare
la pessimistica previsione, cara agli ultimi esponenti dell'avanguardia,
di una 'finis musicae', ovvero di un suo
riassorbimento nel suono, depurato da ogni funzionalità
comunicativa e sociale.
Le due composizioni per tre fisarmoniche, Mutta
(1987) e Aion (2000), testimoniano una perfetta
conoscenza dello strumento e della tecnica esecutiva, così
rapidamente evoluta negli ultimi decenni, soprattutto in ambiente
est-europeo. Mentre Mutta indulge ancora a una scrittura di
tipo percussivo, ricca di microaccentuazioni ed efficacemente
contrapposta a 'fasce' cromatiche dinamicamente lavorate,
Aion predilige una sonorità filigranata, ottenuta con
la sovrapposizione, quasi 'sciarriniana',
di disegni variegati e rapidissimi, sfocianti nella 'quasi
tonalità' dell'ultimo episodio.
Raoul Bjorkenheim (1956) proviene essenzialmente
dal jazz, dalle sue forme più avanzate e contaminate.
Four Glances (1998) è costituito da
quattro brevi pezzi, di cui il primo, il terzo e il quarto
usano le tre fisarmoniche quasi fossero strumenti a percussione,
capaci di gareggiare con le più scatenate batterie,
conservando però la respirazione tipica del mantice
e di conseguenza la sua estrema duttilità dinamica.
Il secondo pezzo sovrappone a un 'continuum' accordale, animato
da suggestivi brividi di mantice, una misteriosa melodia nel
registro basso, che stranamente rinvia a una primitiva ritualità
amazzonica.
Boris Porena
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