CALENDARIO


Eventi 2016

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Il Melologo

 

IN NOMINE FILII
(Davide Anzaghi)

La recrudescenza delle battaglie aveva funestato il fluire di quei limpidi giorni di primavera. Il conflitto, divampato oltre i confini del paese contiguo, svelava quasi quotidianamente segmenti di quell’esteso labirinto di inestinguibili odi etnici e religiosi che pochi conoscevano, al di qua della frontiera. La comunità internazionale si era limitata ad allestire centri di soccorso, in prossimità del fronte.

Ad uno di questi centri, approntato in un antico ospedale militare abbandonato, un solitario superstite giunse, all’imbrunire di una giornata di vento caldo e impetuoso. L’uomo era apparso sul limitare della radura che circondava l’edificio, con l’ultimo arroventato sole alle sue spalle.

Avanzò lentamente verso l’edificio. Dall’andatura, lenta ma sicura, non sembrava avesse patito ferite gravi nel corpo. In una mano stringeva un pendaglio, simile a quei ciondoli che la devozione appende al collo di chi vuole ricordare.

Riferì una vicenda cruenta.

A conferma di ciò che aveva narrato, l’uomo ci porse la piccola immagine che serrava nel pugno. La lunga permanenza nell’umidore della mano aveva resa irriconoscibile la minuscola fotografia incorniciata. Gli restituimmo il pendaglio. Soltanto allora s’avvide, sgomento, dell’avvenuta annichilazione dell’immagine. E pianse. Un funebre rosario di sconosciuti nomi di battesimo ritmò lugubramente il perpetuarsi delle lacrime, con intrusiva mestizia.

Da quella sera di primavera, nella ventosa ansa della quale ci fu narrato il caso arcano, non ho più potuto dormire. Sospetto che l’indomabile insonnia mi visiti per spronarmi a rinvenire risposte congrue all’insoluto enigma che parvero proporre le parole dello scampato.

*

«Il levare del sole tardava a inondare di luce il grumo di case adagiate nella valle, circondata da fiorite colline. Durante quella notte il terso plenilunio non aveva acceso d’improvvise scintille gli alberi dei pendii, com’era invece accaduto in altre notti di luna. Dalle oscurate ma vigili finestre del borgo i valligiani avevano sentenziato che l’assente brillio - scaturente dal riflesso lunare sulle lenti dei cannocchiali dei cecchini appostati nottetempo fra gli alberi - garantiva che nell’intrico della vegetazione non si annidavano assassini. Nonostante l’assenza delle anomale lucciole inducesse a non paventare pericoli, un imminente evento, fausto e corale, era prossimo a coinvolgere l’intero villaggio  e  a  esporlo  dunque  al  rischio  di  agguati.  Un  rarissimo  battesimo  si  stava  infatti  per celebrare a mezzogiorno e avrebbe fatto confluire tutta la vita del villaggio verso il battistero dell’unica chiesa del paese.

«Già prima di mezzogiorno gruppi di valligiani avevano attraversato la piazza antistante la chiesa e, dopo aver scrutato dal sagrato i boschi attornianti, si erano addentrati nel tempio. Dalle navate e attraverso gli spalancati portali si diffuse per tutta la valle il suono di un organo. Le strade deserte convogliavano flussi di musica sacra verso le pendici delle colline, visitate dal vento di primavera. Dalla penombra della chiesa si levò il canto di una donna.

«Quando il sole fu prossimo allo zenit, la piazza si affollò di parrocchiani avviati verso la chiesa. La frettolosa fiumana dei convenuti durò pochi istanti. Dopo i quali i portali si chiusero, consegnando il borgo al silenzio. Si udiva soltanto il vento che soffiava fra gli alberi dei boschi, pregno del profumo d’incenso che soverchiava l’altro, più soavemente tenue, dei fiori.

«La cerimonia durò a lungo, cadenzata da folate di vento. Allorché un’ultima ventata fu seguita da improvvisa bonaccia, il tempo si fermò sulla valle e un obliquo sguardo si posò, indugiandovi, sul villaggio: prescelto dalla sorte per consumarvi i propri insondabili atti.

«Al termine della cerimonia si schiusero i portali della chiesa e i parrocchiani sciamarono sulla piazza, disponendosi a semicerchio attorno al sagrato con la schiena rivolta verso le colline. Sul limitare della chiesa apparvero i genitori dell’infante, che sorretto dalle braccia del giovanissimo padre, fu innalzato a beneficio degli occhi di tutti i presenti, nello splendore della luce meridiana.

*

« Dalle vicine colline un fucile sparò.

«Un rigagnolo purpureo fuoriuscì dalla bocca del bimbo, colpito da un proiettile che straziò, attraversandole, anche le mani del padre che, fieramente, lo sorreggeva.

«Pochi istanti dopo protratte raffiche di mitragliatrice falciarono rapidamente tutti i convenuti ad eccezione della fanciullesca madre, annichilata dalla tragedia e immobile al centro dell’eccidio: muta e bellissima. Non le fu risparmiata una prolungata e spietata attesa. Un secondo sparo risuonò solitario, abbattendola sul corpo del proprio bimbo.

«Nel non mensurabile tempo che seguì alla carneficina nonsi vide alcuno né fu dato udire alcunché.

«Sulla soglia della chiesa apparve la figura del prete che aveva celebrato il battesimo. Nessuno poté udirlo gridare la sua collera; né pietosamente invocare il nome del battezzato, i teneri genitori e ad uno ad uno i parrocchiani. Un pianto disperato si propagò per le fiorite colline. Nessuno lo vide stracciarsi la tonaca e confortare - cristianamente spoglio - i corpi agonizzanti di coloro che il destino rapiva.

«Soltanto quando la morte s’impadronì di tutti e dopo avere benedetto le spoglie dei falcidiati e amorosamente staccato dal collo della madre il pendaglio con l’immagine del figlioletto appena battezzato, soltanto allora si decise ad allontanarsi dal luogo della strage. Mentre s’incamminava - volgendosi ripetutamente verso il luogo dell’eccidio - sul rampicante sentiero dei boschi sillabava ancora lo straziante rosario del nome dei martiri che avvolti dalle prime ombre della sera giacevano sul sagrato della chiesa. Nel silenzio attonito della valle.»

 

LA POLVERE MAGICA
(Valeria Bonadonna)

Un mazzo di chiavi così complicato non lo avevano mai visto:
la chiave grande, la chiave piccola, la chiave di sopra, [...] di sotto, [...] della posta, [...] della cantina
e del terrazzo…
Dopo aver accuratamente tirato, spinto, aperto e ruotato la chiave, eccola: la loro nuova casa! All'ottavo piano di una casa anni '60 con una splendida vista sui tetti di Milano,
una Milano ancora avvolta da una manto di nebbia bianca, [...] invernale… La casa dei sogni, il loro nido d'amore…
ma appena aperta la porta i loro sogni si sono di colpo tramutati nella realtà: una incredibile distesa di polvere!
[...] un solo mese al matrimonio e tutto da sistemare!
quelli che [...] dovevano essere i pavimenti in pregiato parquet erano ricoperti da un manto che sembrava neve,
le finestre apparivano opache, come i vetri delle auto quando da piccoli ci si divertiva a scriverci sopra,
i muri opachi e tristi e dai soffitti pendevano lunghe ragnatele.
A questo punto lui, armato di spirito pratico e buona volontà, ha cominciato ad immaginare spazi, misure, mobili, e finiture,
mentre lei presa dallo sconforto ha percorso il corridoio e varcato la soglia delle varie stanze lasciando dietro di sè scie simili a quelle di uno sciatore.
Ad un certo punto lei ha trovato un rifugio, un anfratto invitante dove sedersi a pensare…
uno stanzino che un giorno tornerà ad essere [...] cabina armadio, [...] luogo intrigante ed intimo. Sfidando le regole dell'igiene, lei si è seduta per terra, facendo ben attenzione a non ritrovarsi in compagnia di spiacevoli coinquilini con numerose zampette,
ed una lacrima di sconforto le ha solcato il viso.
"Come faremo a preparare tutto, a pulire, a dipingere, a scrostare in tempo???"
Quella lacrima è corsa velocemente sulla sua guancia smagrita e cadendo in terra ha lasciato un piccolo solco nella polvere;
un microscopico buchino attraverso cui si intravvedeva il pavimento. Curiosa, ha allungato un dito e l'ha toccato.
In quello stesso istante il dito si è illuminato, è diventato tutto bianco poi azzurro e subito rosa, le lacrime sono come magicamente scomparse
e in quell'esatto punto del pavimento è riapparso il parquet!
Inizialmente lei non se ne capacitava in alcun modo, si sentiva euforica come se una forza incredibile si fosse impadronita del suo dito,
ha fatto per alzarsi ed appena ha messo la mano sul pavimento tutta la zona dove era seduta è
diventata di un bellissimo parquet, lucido e bello!
"Ma… allora le lacrime hanno trasformato lo sporco in specialissima polvere magica!"
Al suo tocco la parete della cabina armadio, come per magia, si ricopre di una bellissima carta da parati rosa caramella,
tocca l'armadio ed escono tantissimi cassetti, apre i cassetti e dentro le più belle camicette, mutandine, maglioncini mai visti in vita sua!
[...]
va da lui lo abbraccia e lui le da la mano, toccano insieme la parete della sala ed ecco che appare il quadro che avevamo sempre voluto.
Saltellando, toccando e trasformando arrivano alla cucina, dove la polvere magica [...] trasforma tutta la stanza:
appaiono fornelli, cassetti, piatti, posate, bicchieri ed ogni sorta dei più deliziosi manicaretti [...]. Estasiati e felici corrono da una parte all'altra della casa rinnovando pareti, soffitti, armadi, finestre ed infine guardando fuori dalle finestre la vista, appena rischiarata da un timido raggio di sole,
si abbracciano soddisfatti della loro nuova casa dove vivranno per sempre felici e contenti!

 

PARLAVI PER INTONARE UNA TUA ANTICA VOCE
(Maria Pia Quintavalla)

Andavo in visita a mia madre negli inverni ultimi, quando da anni preferiva restare immobile seduta,
silenziosa sognando un po' certi pensieri tristi, la vita danneggiata
i piedi e la schiena compromessi, la paura di cadere e di muoversi;
al mio arrivo volevi sfogarti un po' con me, come dicevi, Lo sai,
che quando vengono a trovarmi, siedono sulla sedia qua di fronte ma hanno sempre fretta, poi vanno via,
e stringevi gli occhi miopi per far sentire come anche tu
non vedessi bene ma allungandoti verso di me e mio padre, chiedevi un'attenzione, volavano tristezze e non potevi fermarle, ti appoggiavi allo schienale, tuo unico sostegno e con la voce dalla grana piena di suoni armoniosi ci parlavi:
Parlavi per intonare una tua antica voce, sensibile profonda
venirci incontro maturare, fiorire e poi cadere seminare più melodie nella tua stanza, che ne restava scossa, impregnata al fondo: lamentavi il presente troppo avaro di gesti affettuosi per te, ma lamentavi anche la sera
le sue solitudini anziane appassite, per poca vita.
Prendevi l'inizio da un qualsiasi ricordo, più spesso strano lieto o di tragedia della famiglia e partiva
la danza che ariosa procedeva,
senza limiti di spazio, di profilo vedevo il tuo naso bello e diritto segnare l'orizzonte, lasciare traccia durevole nell'aria
come la una voce dare un segno impregnante poi sparire... Di quei fatti misteriosi cui parlavi,
che ritessevi ogni volta come tradizione tua,
quel nostro libro detto e non scritto - cui ciascuno doveva credere per fede, quando attaccavi a dire,
"Tu non sia quando..." le orecchie mi si spalancavano il fiato si faceva corto, le mani immobili per non disturbare te sola, in solitaria positura, la corolla abbassata, vaticinavi e narravi di noi della tua vita tutta e di generazioni
che i avevano precedute, e in quella musica dolente e risaputa
si ricreava intera la storia di un popolo...
Altre volte in non meno feroci perimetri di casa, nella cucina  di San Leonardo dove eri cresciuta,
per la gelosia dei fratelli essi ti rincorrevano intorno al tavolo dove eri comparsa luminosa,
col rossetto  fresco appena indossato e te lo sfregavano via così, di forza, con un tovagliolo e poi rincorsa, a calci nel sedere
se ti ribellavi.
A Ingrid Bergman dicono che somigliavi, dal profilo perfetto, ed io pensavo a un'altra Gina, la Lollobrigida, ma nella foto eri scolpita più dal sangue spagnolo, nell'ombra degli occhi, nell'ambrato di pelle un  po' speziata e pura.

 

DER TRAURIGE MÖNCH (Il Monaco triste) Nikolaus Lenau
La traduzione e l’adattamento del testo sono stati realizzati da Gabriele Rota

In Svezia si erge una grigia torre, riparo per gufi e aquile;
Con pioggia, fulmini e tempeste ha giocato
Per novecento anni;
Quale che sia stata la vita lì dentro,
Con gioia o con tristezza, è svanita da lungo tempo. La pioggia si riversa, un cavaliere si avvicina,
Egli sprona i fianchi del cavallo. Egli ha perso la sua strada
Immerso nel crepuscolo e nei pensieri. Il bosco ulula nel vento
Come un bambino fustigato.

In quel paese maledetta è la torre: Di notte, al chiaro di luna,
Un fantasma si aggira in un saio da monaco, Con una faccia così triste;
E chi guarda il monaco negli occhi,
Triste diventa e presto andrà alla morte.

Ma senza orrore o paura,
Il cavaliere entra nella volta della torre. Egli conduce dentro lo stallone nero
E scherza allegramente con il suo cavallino: "Che ne dici? che ce la caveremo meglio
Con i fantasmi piuttosto che con vento e pioggia? "

Ora scioglie al cavallo
La sella e le briglie bagnate.
Si stende nella stanza desolata, Il suo mantello sul pavimento,
E benedice le mani
che hanno costruito in maniera così forte e sicura. E mentre lui dorme, mentre lui sogna,
Intorno a mezzanotte
Il suo cavallo lo sveglia, è inquieto e freme, C'è luce intorno alla torre.
La parete si illumina come se fosse in fiamme; L'uomo si fa coraggio.
Il cavallo dilata le nari, Mostra i denti per la paura,
Il cavallo nero, tremando, vede lo spettro e rizza la criniera;
Ora anche il cavaliere vede il fantasma
E si fa il segno della croce, secondo un uso antico.

Il monaco si è posto dinnanzi a lui,
Così lamentoso, così terribile anche se muto,
Come se in lui il mondo intero piangesse in silenzio, Così triste, oh quanto triste!
Il cavaliere lo guarda fisso
E si riempie di compassione.

Il grande e misterioso dolore
Che tremando attraversa la natura,
Che solo un cuore sanguinante potrebbe immaginare, Che solo la disperazione potrebbe intuire
Ma non raggiungere - l'immenso dolore appare
Negli occhi del monaco, e il cavaliere comincia a piangere. Egli gli domanda "Oh, ditemi, cosa vi affligge?
Cosa che si sconvolge così profondamente? " Ma, come il monaco abbassa il suo volto, Muove le pallide labbra
e fa per parlare,
Il cavaliere urla terrorizzato: "Taci, ti prego! Taci!"

Il monaco è scomparso, e fuori si fa mattino, Il viandante esce dalla torre:
Egli non riesce più a parlare, Solo la morte egli sente.
Anche il cavallo rifiuta la sua biada,
Per cavallo e cavaliere tutto è compiuto. E quando il sole alla sera tramonta,
I loro cuori battono con paura,
Da ogni cespuglio il monaco li chiama,
E tutte le foglie piangono.
L'aria è densa di dolore e sofferenza - Il cavallo nero affonda nel lago!

 

DES TOTEN DICHTERS LIEBE (L'amore del poeta morto) Mór Jókai
La traduzione e l’adattamento del testo sono stati realizzati da Gabriele Rota

Nel bosco echeggia il canto dell'usignolo,
Dolce risuona da lontano il suono del flauto;
Il torrente che sgorga dalla roccia bacia dolcemente
la ghirlanda di rose che si piega alla sua onda;
Lo zefiro bacia gli arbusti, l'ape la campagna.
E pure noi, delizia del mio Eden,
Non dovremmo forse baciarci?

E pure noi, non dovremmo forse baciarci?
Io, te e il bambino: tre cuori in unità:
Il mio bambino che ride nel grembo della mia amata.
Oh, ancora una volta quel riso pieno di celestiale purezza!
Il mio liuto ora vibra d'amore,
Una canzone d'amore ora voglio cantare,
Una canzone d'amore al mio figlioletto.

Un canto d'amore voglio cantare al mio figlioletto.
Anche se ora gli risuona come una canzone da balia,
Quando lo comprenderà, non lo dimenticherà mai.
Ah ma tu, sua madre, tu hai una voce molto più dolce.
Digli chi ero e che ne è stato di me!
Quanto ero felice finché ho vissuto con voi,
Mia moglie, e presto forse vedova.

"Forse mia vedova finché, in autunno, le foglie cadono,
Oh dimmi, mi potresti mai dimenticare?
Si può morire molto facilmente, là dove mi chiamano.
morirà anche il mio amore nel tuo cuore? "
"Oh no, no! Mai, mai si raffredderà il mio amore!
Se la violenza della morte ponesse termine alla tua vita
la tua tomba ci accolga entrambi "...
" Si può morire molto facilmente, là dove mi chiamano." ...
L'orribile mietitrice sul campo di battaglia
Non sceglie le vittime, a lei non importa nulla
se colui su cui cala l'ombra eterna
sarà fra i dimenticati, non appena muore,
oppure una fama eterna lo immortali qui sulla terra;
La cetra non ha mai strappato alcuno alla morte!_

Ma ecco la fanfara, la corsa precipitosa degli stalloni,
Il tumulto delle schiere inferocite.
Nozze di sangue, dove la spada dispensa baci
E il verme freddo della tomba è il banchetto nuziale.
Il lamento delle campane, il gemito dei morenti,
Nel fugace silenzio risuona della cetra
Il grido "Avanti, morite da eroi!"

Da uno spoglio albero
gracchia un corvo "La battaglia è alla fine,
È finita la raccolta sul campo di sangue;
La Falce ha compiuto il suo lavoro."_
"O araldo dei campi di battaglia, puoi dirmi
il destino dell'eroe, del cantore?
Dimmi dove è il mio sposo immensamente amato?"
Il corvo risponde: "Allora noi due lo amavamo entrambi.
Si sparse il sangue di molti eroi valorosi;
E diventarono il cibo per me e la mia covata.
Io piango per lui;_  non aspettarti il suo ritorno!
Dorme sotto centinaia di corpi.
Ora piangiamolo entrambi, lui che ormai Nessuno potrà salvare.
Ma solo sino alla notte di nozze "_
Sino alla nuova notte di nozze il velo della vedova,
così delicato, è strappato da un soffio di vento.
Il cuore di una donna, non è fatto d'acciaio,
E magicamente lo consola un altro dolce uomo._
Lasciate riposare i morti! Lasciate che i cuori gioiscano! ...
I morti non hanno angoscia! Con le dolci parole d'amore
rallegrati, o bella, della felicità di sposa.

Gli sposi danzano felici alla musica; La donna è raggiante
tra le braccia del suo nuovo compagno;
Una ghirlanda colorata, i gioielli nuziali adornano il capo e il corpo._
Ma più felici le ore tranquille che seguono,
Quando dolcemente gli occhi e le labbra si chiudono nel sonno.
Solo i due cuori rimangono svegli, e battono.
Solo i due cuori rimangono svegli, e battono...

Ma improvvisamente compare uno spettro,
dalle umide tombe.

Sul teschio sghignazzante un colbacco incoronato
Nella fossa degli occhi una luce sinistra,
dalla sua ferita del petto
la sanguinante bandiera della Patria, senza corona,
che sanguinante lo ricopre.

E parla ... non le labbra, ma la ferita sanguinante:
"Mio cuore, mio mondo, mia beatitudine!
Da lungo tempo, nell'oscura solitudine ho languito per voi.
Il mio letto è già pronto per te e per il bambino,
Basterà per noi tre: là si dorme tranquilli.

Le notti sono lunghe, il mattino è lontano.
È mezzanotte, ora; venire a dormire, mio amore.
Vieni a dormire con me
nella mia bella casa.
Il tetto è ricoperto di verdi prati, cosparso con giacinti d'oro e blu,
Al suo interno, un mosaico di pietre colorate.
E adornato di cose meravigliose
Con i più incantevoli scheletri, Con i teschi dei più nobili eroi"...

" Via, vattene, infame spettro
Come osi dichiararti mio marito?
La tua figura mi è sconosciuta, i miei occhi non ti hanno mai visto,
Non potrei mai riconoscere in te il mio amato"
Lo spettro ridacchia, di un riso orribilmente stridulo: ha, ha, ha!
"Che strano scherzo del mondo moderno! Hai ragione, mia bella signora!

Io vivo insieme con molti compagni,
E, per la gran quantità di teschi, invece del mio
ho preso nella fretta quello di uno sconosciuto;
Ma andrò di nuovo dove ho commesso un così grave errore,
e tornerò indietro, quando avrò trovato il teschio,
l'unico giusto in mezzo a tutti quelli sbagliati.

Così parlò lo spettro e sparì.
E di continuo torna a mezzanotte;
e racconta come i morti vivono nella tomba,
racconta di cosa sognano i dormienti il sonno eterno,
Parlava delle novità del passato,
di speranze da tempo svanite.

E canta la sua canzone d'amore, quella di un tempo.
È lui! Ma la sua testa è quella di qualcun altro.
Sceglie sempre un altra maschera a caso
Di vecchi e giovani, di pensierosi e allegri,
tutti sepolti sotto un palo.
"Venite!" Egli chiama la donna e il figlioletto.
Si svegliarono spaventati dalla loro quiete
"Oh no! Non portarci via da qui! "

Ancora e ancora chiama la sposa e il bambino.
Ed egli torna ogni notte per vent'anni
Come egli si alza dalla tomba, i rovi riducono
a brandelli le sue vesti, che svolazzano nel vento;
Egli stesso deperisce sempre più e si riduce
a un'ombra che guizza alle pareti;
Ma ancora mormora: Oh, venite!

La donna ingrigisce, e il figlio cresce
Vecchio e stanco della vita.
Una pena indicibile per la madre:
il suo cuore è malato; Il suo cuore è pesante e lo trascina verso la tomba.
"Oh, trova il tuo vero volto, finalmente!
Già non temiamo più la tua venuta notturna,
la aspettiamo, la aspettiamo con sospiri ".

E dal sonno lo risveglia il grido dell'amore:
Egli appare ancora prima di mezzanotte.
Il volto luminoso, lo sguardo ardito,
e la bocca sorridente, come un tempo.
Egli scaglia via cetra e spada,
ora ha solamente il desiderio di abbracciare suo figlio e la sposa,
E li porta lontano con sé, dove ogni anno il verde della sua tomba si rinnova,
E sopra questo fiorisce una pianta colma di rose che sparge i petali profumati.
Così egli portò giù con sé tutto ciò che era suo.
E solo ora, finalmente, poté trovare il riposo.
E in alto risplende la stella della sua gloria ...

L'usignolo cinguetta spensierato nel bosco
il pastore intona la canzone del nostro poeta;
Un lampo appare lontano
nel cielo del tramonto.
L'ape danza sul fiore con il suo ronzio.
E là sotto sussurra il poeta: amore del mio cuore,
noi ora ci abbracciamo in eterno

 

ODE AL VENTO DELL’OVEST (Ode to the West Wind) P.B. Shelley
La traduzione e l’adattamento del testo sono stati realizzati dall'autore sulla base della traduzione
di Cino Chiarini (Firenze, 1923)

1.
O vento selvaggio dell’Ovest, tu soffio della vita dell’Autunno, tu dalla cui non visibile presenza le morte foglie sono trasportate (come spettri che fuggono per sottrarsi a un mago incantatore) gialle, e nere, e pallide, e del rossore smorto della febbre, folle colpite dal contagio: ascolta, oh, ascolta! O tu, che trasporti, sul cocchio, al loro letto invernale i semi alati, ov’essi giacciono freddi sotterra (ciascuno come un cadavere sepolto dentro la propria tomba) finchè la brezza, tua azzurra sorella, figlia di Primavera, faccia squillare la sua tromba sulla terra che sogna, e (conducendo i boccioli profumati a pascolare, come greggi, nell’aria) riempia di vivi colori e di olezzi il piano e il colle: selvaggio Spirito, che in ogni luogo t’agiti, che distruggi e conservi a un tempo: ascolta, oh, ascolta!

2.
Tu, sul cui soffio (in mezzo al tumulto del cielo scosceso) le nuvole vanno, disperse, come appassite foglie sulla terra, scosse dai rami intrecciati del cielo e del mare, angeli messaggeri della pioggia e del lampo: laggiù, sopra l’azzurra superficie del tuo fiotto aereo (dal fosco margine dell’orizzonte su fino al culmine estremo del cielo), simili al fulgido crine dritto sul capo di una fiera Menade, stanno, cosparse, le chiome dell’imminente uragano. Tu, nenia dell’anno che muore, al quale questa notte che si chiude sarà la cupola di un gran sepolcro, eretta a volta da tutta la forza dei tuoi congregati vapori, la cui densa atmosfera scoppierà in buia pioggia, e fuoco, e grandine: oh, ascolta!

3.
Tu, che svegliasti dai suoi sonni estivi l’azzurro Mediterraneo dov’egli dormiva (cullato dal gorgogliare dei flussi cristallini) presso un’isola di pomice nel golfo di Bàia; tu, che allora vedesti vecchi palazzi e torri, assopiti nel sonno, tremolare dentro alla più intensa luce dell’onda, ricoperti, tutti quanti, di muschi azzurri, e fiori così dolci che il senso nel descriverli vien meno! Tu, per il cui passaggio le levigate forze dell’Atlantico si squarciano in abissi, mentre giù al fondo la flora del mare e i boschi limacciosi (che vestono le foglie dell’oceano prive di succhi) riconoscono il suono della tua voce, e, per paura, a un tratto impallidiscono, e tremano, e si spogliano: oh, ascolta!

4.
Se io fossi una foglia morta che tu potessi trasportare con te; se io fossi una nuvola veloce, così da potere seguire il tuo volo; un’onda che potesse palpitare sotto la tua potenza, e prendere una parte dell’impulso, che viene dalla tua forza (soltanto, meno libero di te) o Irrefrenabile! Se io fossi, almeno, com’ero nella mia fanciullezza, e potessi seguirti, compagno del tuo vagare per i cieli, (come a quel tempo, allorchè sorpassare il tuo rapido corso celeste mi pareva appena un sogno) non mi sarei così, con tanto ardore d’insistente preghiera, rivolto a te nel mio dolore estremo. Oh, sollevami  come  un’onda,  una  foglia,  una  nuvola!  Io  cado  sulle  spine  della  vita!  Io  sopra  loro sanguino! Un grave peso d’ore ha incatenato e curvato uno che troppo rassomiglia a te: indomito, e rapido, e fiero!

5.
Fa’ di me la tua lira, così com’è la foresta: che importa se cadano pur le mie foglie, come cadono le sue? Il tuo melodioso tumulto rapirà, a tutti e due, un canto profondo autunnale, dolce, sebben di tristezza. Sii, o Spirito fiero, lo spirito mio! Sii me, o impetuoso Spirito! Trasporta i miei morti pensieri per il mondo (come foglie appassite) per dar vita a una nascita nuova! E con l’incanto di questo mio verso, spargi tu (come ceneri e faville d’un focolare non estinto) le mie parole fra il genere umano! Sii, attraverso le mie labbra alla Terra che dorme, la tromba di una profezia!
O, Vento, se giunge l’inverno, può primavera esser molto lontana?

 
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